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L’Autonomia in sanità

Oggi, la parola “autonomia” sembra essere la parola chiave che apre la porta della soluzione di ogni problema, e quindi la parola magica. Proprio per questa idea di “magicità”, molte Regioni sia del nord che del centro – sud ce la invidiano da sempre.  Ma cosa significa la parola “autonomia”?

Nel termine si fondono concetti profondi, come libertà e autodeterminazione, che trovano declinazione nella possibilità e, soprattutto, capacità di amministrare e gestire risorse umane e materiali. Ed è, proprio, questa capacità di gestire l’autonomia che caratterizza le diverse amministrazioni, e i risultati concreti di queste.

Per capire come l’autonomia possa fare la differenza in sanità è necessario comprendere, prima, cosa significhi il termine LEA , ossia “livello essenziale di assistenza”.

I livelli essenziali di assistenza nascono con la legge 833/78, e sono attività e prestazioni sanitarie, che il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) garantisce a tutta la popolazione, in condizioni di uniformità, con le risorse pubbliche a disposizione. Sono prestazioni considerate così importanti da non poter essere negate alla popolazione.

Nel corso degli anni la riduzione delle risorse, l’allungamento della vita con l’aumento  delle malattie cronico- degenerative, e il riconoscimento di “nuove” malattie, grazie anche ad una migliore capacità diagnostica,  hanno portato alla necessità di più rivisitazioni dei livelli, con  l’ampliamento e l’inserimento di nuovi, piuttosto che riduzione, pur mantenendo, tuttavia, il concetto, secondo il quale essi non costituiscono solo un impegno programmatico per il Servizio Sanitario Nazionale, ma anche un diritto per i cittadini.

I criteri per selezionare le prestazioni da includere nei LEA sono la necessità assistenziale, l’efficacia/appropriatezza e l’economicità, con corrispondente esclusione dai LEA, in modo completo o parziale, di quelle prestazioni, che non rientrano nei tre indicatori.

La Provincia autonoma può garantire servizi e prestazioni ulteriori rispetto a quelle incluse nei LEA, utilizzando risorse proprie. Quindi, l’autonomia ci può differenziare nella cura e nella soddisfazione di bisogni importanti.

Vorrei solo citare due esempi di autonomia sanitaria provinciale, che hanno differenziato la nostra provincia dalle altre Regioni d’Italia.

La legge provinciale 12 dicembre 2007, n 22, che disciplina l’assistenza odontoiatrica pubblica in provincia di Trento, unica realtà in Italia, perché effettuata non solo negli ambulatori dell’Azienda Sanitaria, ma anche presso alcuni studi odontoiatrici, convenzionati e accreditati con l’azienda, diffusi su tutto il territorio. Le prestazioni comprendono cure primarie, secondarie, protesiche e ortodontiche, utilizzando l’indicatore ICEF e l’età.

Questa applicazione di LEA è stata motivo di vanto provinciale, in quanto nessun’altra Regione o Provincia italiana ha disciplinato in questo modo l’assistenza odontoiatrica, riconosciuta nei LEA nazionali solo ad alcune fasce di utenti e con particolari condizioni (art. 9,comma 5, d.lgs. 502/92 e modificazioni”, ed è stato possibile attuarla grazie alla partnership dell’Azienda sanitaria con studi dentistici liberi professionisti (circa 25 professionisti)

L’altro esempio che cito è il Centro di Procreazione Medicalmente Assistita (PMA), al quale sono particolarmente legata, perché l’ho visto svilupparsi e diventare centro di riferimento non solo per il Trentino, ma per tutto il nostro Paese.

La nuova rivisitazione dei LEA, prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 12 gennaio 2017, include le procedure di PMA (omologa ed eterologa) fra le prestazioni garantite dal SSN, definendo, per la prima volta su base nazionale, criteri e limiti di erogazione uniformi. Nello specifico, fissando il limite di età per la donna a 46 anni per l’accesso alle tecniche di fecondazione assistita, e il numero di cicli di fecondazione in vitro e di inseminazione intrauterina possibili per la coppia.

In considerazione della domanda e delle aspettative ingenerate a seguito della pubblicazione dei nuovi LEA, con la delibera 427/2018 la Giunta Provinciale recepisce le novità introdotte in materia di PMA. Ma, cosa molto importante è che, grazie all’autonomia, il medesimo provvedimento non si ferma solo a riconoscere la PMA omologa (peraltro già in essere) e a implementare quella eterologa, ma amplia lo spettro di azione del pubblico, estendendo la possibilità di accedere alle prestazioni di PMA alle coppie portatrici di malattie genetiche trasmissibili, e consentendo loro di tutelare la propria procreazione, attraverso la diagnosi pre-impianto, per ridurre al massimo il rischio di aborto, soprattutto terapeutico. Questo a differenza di moltissime Regioni, che, ancora oggi, non riconoscono questo bisogno e non sanno, nemmeno, cosa sia la diagnosi pre-impianto,

La delibera introduce, inoltre, quale forma di tutela preventiva della fertilità della donna rispetto a un’eventuale futura difficoltà procreativa, la possibilità di accedere a tecniche di crioconservazione ovocitaria, in assenza di indicazione medica (c.d. “social freezing”), con prestazione a compartecipazione dell’assistita.

Se, poi, la donna, che si sottopone a social freezing, fa donazione di parte dei propri ovociti viene esentata, addirittura, dalla compartecipazione alle spese per esami inerenti la valutazione di idoneità alla donazione e tutte le prestazioni annesse alla procedura. Quest’ultima parte non è ancora implementata.

Già nel 2013 con deliberazione della Giunta provinciale n. 370 si prevedeva la possibilità per i pazienti di crioconservare il liquido seminale, prima di sottoporsi a terapie potenzialmente lesive della capacità riproduttiva, con relativa esenzione dalla compartecipazione alla spesa. Infatti, spesso la guarigione, ottenuta con chemioterapia, radioterapia e/o terapia chirurgica, comporta come danno collaterale una compromissione della fertilità, ovvero un’alta probabilità di infertilità. Analoga possibilità di preservazione della fertilità non era allora prevista per le pazienti, che dovevano sottoporsi a tali terapie. La delibera, finalmente, introduceva la crioconservazione degli ovociti per le donne, sia in trattamento oncologico, sia in trattamento non oncologico, ma potenzialmente lesivo per la fertilità. (c.d. “medical freezing”). Anche questo non compare nella rivisitazione nazionale dei LEA, ma compare nella delibera, e sta dando grandi speranze a tutte quelle giovani donne, che oltre a temere per il tumore, temono per la loro fertilità, dando loro un importante messaggio di continuità della vita, in un momento in cui l’orizzonte non appare così infinito.

Come si dice, la PMA pubblica esiste sulla carta in molte Regioni, ma la nostra PMA pubblica è reale e concreta nel riconoscere il bisogno. Pertanto, possiamo considerare l’autonomia lo strumento per eccellenza per il bene comunitario.

La domanda da porsi, oggi,  è se sia, solo, una questione di autonomia ad averci fatto raggiungere questi livelli assistenziali, oppure se a fare la differenza sia stata la lungimiranza di chi ha utilizzato l’autonomia per curare in anticipo problemi non solo del momento, ma anche del futuro, in questo caso l’infertilità e la denatalità.

Mi piace concludere questa riflessione sulla nostra autonomia in sanità con due citazioni, la prima di Ugo Rossi,  “l’autonomia è far da sé, insieme, per tutti” e la seconda è di Walter Pruner, che ben si addice a quanto scritto sopra, “l’autonomia anticipa ciò che avverrà domani”.