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L’Autonomia trentina tra presente e futuro – di Walter Pruner

Il tema specifico sul futuro dell’Autonomia parte ovviamente dalla consapevolezza di cosa sia oggi l’Autonomia e da quale Autonomia possiamo oggi partire per costruire quella del futuro. Oggi la reputazione  della nostra Autonomia è fortemente in crisi. Il tema della reputazione è centrale perchè senza reputazione si manca di credibilità.

L’Autonomia odierna è malata, e lo è da un po’ di tempo, da quando, cioè, tutto diventa Autonomia, tutti usano ed abusano del termine Autonomia, come se tutto possa rientrare all’interno di questa. Tutto è Autonomia, quindi niente è Autonomia.

Diciamo subito, allora, per fugare ogni dubbio, che cosa non può essere Autonomia.

Autonomia non è razzismo, Autonomia non è sovranismo, Autonomia non è antieuropeismo, Autonomia non è chiusura, Autonomia non è egoismo.

Autonomia è termine col quale si è inteso oggi far passare il concetto che il fare tutto giustifichi tutto.  Come se il fare senza un perimetro valoriale all’interno del quale stabilire priorità, direttrici ed obiettivi non fosse rilevante. Investire in favore di un mega concerto a scapito di un progetto che alleggerisca le liste di attesa sanitarie significa fare, ma non per questo significa fare bene. Significa che la politica, una certa politica, individua nel caso di specie una priorità a scapito di un’ altra, il concerto ad un bene sanitario. Significa che, caso di specie a parte, le scelte politiche comportano effetti diversi e che quindi la politica è importante.

Oggi l’ideologia rifiutata, la “foboideologia”, la paura della ideologia e il fiaccamento del valore, passa in qualche territorio della politica attraverso il pragmatismo del fare. Fare comunque, fare con tutti quelli che vincono, fare a fari spenti, fare senza una luce, fare rilassando il cuore, fare senza una visione di futuro, fare nella lettura bulimica di un manuale Cencelli preferito a quello dell’ autogoverno, dell’ interesse generale.

Si misero nero su bianco, era la metà degli anni ‘40, quelli della Carta di Chivasso e dell’Asar,  dichiarazioni ancora oggi di una modernità assoluta, che sancirono le basi dell’ autonomismo moderno attraverso quei valori di principio ed ideali che tanta orticaria producono oggi nelle foibe di coscienze politiche arroccate all’interno del moderno “cencellismo”; quel “cencellismo” che confonde i programmi con la prospettiva politica, l’amministrazione con il governo, la mediazione con la svendita, l’Istituzione con la carica personale. Il nemico giurato di tanta generosità di contraddizioni è la negazione di una parola elegante, discriminante, chiarificante e nobilitante che corrisponde al nome di valore. Valore ideale, valore identitario, valore quale cornice innegoziabile.

Smarcarsi da scelte che abbiano carattere ideologico e valoriale è dunque il passepartout per giustificare tutte le scelte. L’Autonomia  è invece una forma alta di identità delle nostre comunità. La sua forza sta nell’energia di una identità di popolo che non si chiude ma concorre al bene comune senza campanilismi. La forza di queste identità non ha prezzo, e gli interventi pubblici loro destinati lo sono in virtù di scelte politiche necessarie alla comunità e non utili al politico che ne richiede ritorno elettorale.

Insisto molto sul concetto di Autonomia, anche con riferimenti concreti, perchè se noi accettiamo senza colpo ferire che la nostra Autonomia possa indifferentemente fare accordi, con tutto e con tutti, tentare alleanze, senza distinzioni ed all’interno di mediazioni prive di contrappesi e sui grandi temi della sanità, dell’istruzione, dell’ ambiente, della transizione ecologica, della grande scommessa sulle nostre risorse umane non solo giovanili ma anche anziane, non solo produttive ma anche in difficoltà, siamo sulla strada sbagliata. Non dobbiamo temere di affermare, accanto al grande rispetto per l’avversario, anche le ragioni di un’ Autonomia dalle grandi ambizioni e che sappia in maniera forte ma soprattutto autorevole rivolgersi con massima priorità a chi si trova in svantaggio. E sono molti coloro che calcano questa a volte nuova condizione di disagio. Non si confonda lo stato di apparente ricchezza generale con un benessere che non c’è almeno nelle forme che la nostra terra ha nelle sue potenzialità. Lo stato di benessere è altra cosa rispetto allo stato economico. Il benessere è uno stato complessivo, un equilibrio di parametri che passa dai servizi, alle condizioni ambientali, dal rapporto tra lavoro e tempo da dedicare alla propria sfera, insomma si sta meglio quando si vive meglio: le condizioni economiche sono un fattore basilare ma non esclusivo. Su questo noi Autonomisti dobbiamo avere il coraggio di riappropriarci di un’ Autonomia che è quella del benessere della persona, dell’individuo. Noi Autonomisti è a queste persone che prima di tutto dobbiamo rivolgerci. A queste persone che da una globalizzazione che non fa prigionieri rischiano l’isolamento, rischiano di non farcela. Questo Autonomismo porta al centro la persona, l’individuo, la comunità familiare. E questa politica autonomista deve pretendere la massima attenzione a tutto quello che orbita attorno al benessere della persona, prima di ogni altra priorità.

L’ Autonomia che ci attende non è il modello emerso in questi ultimi anni, quello binario, dello scontro tra chi comanda e chi deve obbedire. Tra chi è con loro e chi contro di loro. Il governo è di tutti e non di chi questo ha votato. Non abbiamo bisogno di circolari che impongano di domandare il permesso di parlare a dirigenti e funzionari, umiliandoli al ruolo di pupazzi. E’ appena successo. Non può e non dovrà più succedere. Perchè la nostra Autonomia è fatta di rispetto della dignità e del lavoro del singolo, delle minoranze, delle differenze, delle specialità. Non ha bisogno di cani da guardia ma di confronto rispettoso. L’ Autonomia è autogoverno in favore di tutti e non di chi è più o meno confidente col potere. Le comunità destinatarie di attenzioni politiche non possono subire ricatti elettorali, perchè questo metro risponde a logiche di scambio, che la nostra Autonomia non può tollerare e che si pensava albergare ad altre latitudini.

Altro elemento che riverbererà sempre più sul futuro della nostra Autonomia è l’idea tutta centralista secondo cui è sufficiente per le regioni già in possesso di un regime autonomistico, difendere dette prerogative in una sorta di sterile blindatura delle posizioni acquisite. L’ Autonomia muore  nel momento in cui rifiuta di proporre e di proporsi attraverso innovazioni e rilancio di iniziativa.

Esistono tutte le condizioni perchè il Trentino diventi una sorta di Silicon Valley dell’ Autonomia. Per fare questo l’impegno va rivolto in forma massiva verso quelle risorse immateriali che sono i cervelli dei nostri giovani, eccellenze che spesso si formano nelle nostre università per poi trovare fuori dai nostri confini ristori non solo economici ma anche motivazionali, che privano la nostra terra di quell’ ossigeno creativo senza il quale si è destinati all’aridità culturale, economica e sociale. Molte, troppe nostre aziende sono oggi ad una svolta perchè non intravvedono possibilità di un sogno, di un risveglio creativo in quanto schiacciate da una gestione politica priva di un disegno. E sapete quale è la forza di ogni rivoluzione? E’ la forza di un desiderio, la possibilità di poter sperare di realizzare quel desiderio. Senza questo desiderio la Comunità si spegne, si omologa, si addormenta.

L’ Autonomia di domani che tutti dovremo costruire, ha il compito di lanciare questo desiderio di riscossa.

Si tratta di dare corpo ad interventi che come dicevo rientrino però in un alveo di priorità per un Trentino coraggioso, capace  di mettere al centro un interesse sociale diffuso, in grado  di rallentare o meglio, evitare del tutto, spinte egoistiche  e rivolte a pochi.

Il nodo centrale della burocrazia locale che deve essere migliore di quella nazionale, e capace di performare per qualità e tempistica, lo ricordava Degasperi, saprà essere in grado di qualificare i singoli piccoli interventi su cui il Trentino continua a non riuscire a cambiare marcia.

Non esistono modelli di società mutuabili in toto. Anche territori a noi storicamente vicini e che, diciamolo pure, a buona ragione invidiamo, sono innervati di specialità  e peculiarità che mai potranno essere adottate completamente. Se ne può mutuarne valori, ma non scimmiottarne i contenuti. Si pensi ad esempio all’ istituto tipico del Maso chiuso che al di là delle connotazioni etiche, ha evitato all’Alto Adige  una frammentazione del territorio che da noi rappresenta invece un grave problema. Si pensi anche alla questione etnica che tanto rileva nel panorama dell’ Autonomia sudtirolese. La nostra Autonomia dovrà sempre più essere capace in una dimensione regionale ed euro regionale di confrontarsi, ma ponendosi obiettivi ben altri rispetto a quelli di un vassallaggio politico antistorico. Un’ Autonomia del confronto all’ interno di confini di seta, come diceva il compianto Silvius Magnago.

Il blockfrei  è privo di contesto politico in chiave provinciale perchè l’elemento portante, quello di un robusto catalizzatore politico al centro non esiste. Ed utilizzare il blockfrei quale sinonimo di mani libere, in un quadro di utilitaristico mezzo per approdi rivolti ad interessi ed ambizioni personali e non collettive, nulla ci azzecca con l’Autonomia del buon governo.

Le dimensioni della nostra Terra, i suoi numeri, ma soprattutto l’idea che Roma ha di noi, impongono la capacità di radicare in Trentino una massa d’urto importante, capace di contrapporsi a quella che sicuramente sarà una controffensiva centralista nei confronti di realtà che Roma valuta privilegiate. Qualcuno con queste forze ci è andata al pranzo di gala con i pantaloncini corti e i sandali, noi se siamo qui oggi è per affermare che siamo Movimento giovane ma non sprovveduto. Che siamo autonomisti e non nazionalisti. Abbiamo una identità locale che non è quella roba la, non è una identità nazionale, che rispettiamo, ma non è la nostra. La massa critica, la massa d’urto di cui parlo richiede uno sforzo che superi l’ idea di monopolio partitico autonomista. E’ stato, questo del monopolio, un atto di superbia politica che dobbiamo riconoscerlo, ha contribuito in molti casi ad alimentare una polveriera politica senza senso  e sterile di profitto politico. Dobbiamo in questo senso contribuire a ricostruire questo spirito di collaborazione per un movimento autonomista che deve sempre più puntare ad un sentimento autonomista popolare e diffuso. Con alcune forze sarà possibile capirsi subito, con altre sarà più complesso, con altre in assenza di ragione sociale non si potrà neanche iniziare. Il problema è sapere fin da subito con chi ed in quale direzione andare, evitando di confondere sigle per contenuti e riconoscendo in tempo le mutazioni genetiche in corso.

L’ Autonomia acquisirà tanta più forza, tanto più valore quanto sarà in grado di costruire un sistema orizzontale di forze che nelle loro specialità abbiano sul tema autonomistico voglia capacità ed autorevolezza per concordare programmi di lungo corso sui quali ragionare ed operare. Non lo possiamo chiedere a quelle forze nazionaliste  che fanno del decentramento e dell’autogoverno un problema, ma con quelle invece che pensano che il decentramento e l’auto governo costituiscano delle risorse: è già una minima base di partenza. Rinforzare al massimo i Movimenti come Casa Autonomia che si fanno motore portante di questo ambizioso ed indispensabile progetto autonomista euro regionale, significa investire sul sicuro, fuori da posizioni di rendita traballanti che rifiutano di guardare oltre il giardino di casa. Sarà sempre più impegnativa la sfida tra un equilibrio virtuoso in capo alle identità locali e le spinte di una Comunità internazionale ed europea alle prese con temi globali che per forza di cose impatteranno, lo stanno già facendo, anche su di noi. E’ su questo che l’ Autonomismo è chiamato a prepararsi, forte di un radicamento storico importante che non può trasformarsi in radicalismo. Sarebbe la sua morte. E’ un modello maturo di autonomismo quello di dopodomani, quello che attende la nostra comunità, che non può permettersi derive estreme o miopi, ma capaci di surfare, di veleggiare sulle onde di un mare aperto carico di incognite.

Partiamo non dall’anno zero, ma purtroppo da cinque ultimi anni che hanno segnato in diversi campi, da quello sanitario a quello scolastico, dal turismo all’ ambiente in particolare il passo ad un pressapochismo allarmante ed anche, lo abbiamo percepito un po’ tutti, ad un limaccioso clima di prepotenza che non appartiene alla nostra storia e non potrà appartenere al nostro futuro. Però abbiamo ancora una società stanca dove la coesione sociale è stata messa alla prova ma ancora trova risorse in un solidarismo diffuso, in un volontariato importante, in un sistema cooperativo sinistrato ma recuperabile. L’ Autonomismo che verrà deve già partire oggi non tollerando sconti all’ arroganza istituzionale ed alla compressione dei diritti del cittadino,  che non può essere suddito, ma tornare a sentirsi parte attiva ed integrata di un processo di sviluppo con al centro la persona, poi le grandi opere Noi siamo qui anche per questo, autonomi nel pensiero,  liberi nell’esprimerlo.