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La fiscalità del Trentino – di Alessio Anselmo

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Su, su, buona lettura!

Vivendo qui, è facile accorgersi che molti parlano di Autonomia ma che c’è ancora da lavorare per farla conoscere a tutti fino in fondo. Così, per chiarire questo tema così discusso, ho deciso di renderlo l’argomento della mia tesi di laurea. Leggiamo queste righe con un occhio di riguardo a quello che vediamo accadere intorno a noi: ciò che sembra autonomia, a volte, non lo è affatto, mentre ciò che si potrebbe fare grazie all’Autonomia viene ignorato.

Per prima cosa, è importante capire che uno Stato o una Regione o un Comune funzionano per entrate e uscite. Cosa sono? Semplice: le entrate sono la somma di tutti i soldi che ogni anno entrano nelle casse di quell’ente, le uscite sono la somma di tutti i soldi che ogni anno escono dalle casse di quello stesso ente. Quindi, ad esempio, le tasse che paghiamo ad un ente sono parte delle sue entrate, mentre il costo del servizio che quell’ente eroga è per esso un’uscita.

Da ciò segue che ogni anno l’ente decide quanto spendere sulla base di quanto entra. Solo in un secondo momento l’ente deciderà come spendere. Questo vale anche per ognuno di noi: prima di decidere come costruirci la casa – bassa o più rialzata? Cucina e soggiorno uniti o separati? – dobbiamo capire quanti soldi possiamo mettere sul piatto.

È adesso allora evidente che “autonomia” dovrebbe significare sì decidere come spendere, ma anche decidere quanto avere a disposizione. Ecco perché indagare l’autonomia dal lato delle entrate è fondamentale prima di ogni ragionamento sulle uscite e quindi sui suoi poteri. Ed essendo le entrate della Provincia Autonoma di Trento – PAT derivanti principalmente dalle tasse, ho deciso di focalizzare la mia tesi proprio su questo aspetto che, va detto, è quasi dimenticato dal dibattito pubblico locale.

Prima di ogni considerazione sullo stato delle cose in Trentino, però, è necessario focalizzare il contesto in cui il Trentino è inserito.

Per fare ciò, si deve partire dalla consapevolezza che la PAT è in Italia e che in Italia vige una Costituzione varata nel 1946 e modificata nel corso degli anni. Per gli enti territoriali, cioè per Regioni, Province e Comuni, la modifica più importante è stata quella avvenuta 2001, con il famoso referendum sul Titolo V.

In estrema sintesi, queste modifiche pongono due punti fermi.

Per prima cosa, la rinnovata Costituzione chiarisce all’articolo 117 quali sono le competenze legislative dello Stato e quali quelle delle Regioni ordinarie.

Questo articolo ci dice, cioè, su quali materie lo Stato (attraverso il Parlamento) può fare le leggi e con che limiti. È facile immaginare che tali materie saranno ad esempio la difesa, la giustizia penale, la politica monetaria e tutte quelle altre che, se non fossero esercitate in maniera unitaria dallo Stato centrale, farebbero venire meno l’unità nazionale. Pensando a cosa accadrebbe se ogni regione avesse il suo esercito, si può facilmente comprendere il senso questa previsione costituzionale. Ovviamente anche lo Stato ha dei limiti nel fare le sue leggi: le regole scritte in Costituzione e le norme dell’Unione Europea.

Ma l’articolo 117 afferma anche che molte altre materie – come sanità e trasporto pubblico locale – sono di competenza concorrente tra Stato e singola regione. Questo significa che, su questi argomenti, tutte le Regioni possono fare leggi da sole, attraverso i loro Consigli regionali, pur nei limiti delle leggi di indirizzo in materia fatte dallo Stato (nonché della Costituzione e delle regole UE).

In parole povere, sulla giustizia penale solo Roma può fare leggi mentre sulla sanità Liguria, Campania, Molise e tutte le altre Regioni possono fare leggi diverse, rispettose dei livelli essenziali di assistenza, cioè i LEP, che in queste settimane sono balzati agli onori delle cronache proprio grazie alla discussione sull’autonomia differenziata.

            L’altro punto fermo della riforma costituzionale del 2001 è quello contenuto nell’articolo 116. Esso afferma infatti che cinque regioni sono a statuto speciale, cioè sono autonome, e per esse le materie su cui possono fare leggi (e i limiti di tale potere) non sono in Costituzione, ma sono nei loro singoli Statuti di Autonomia. Guarda caso, insieme a Sicilia, Sardegna, Valle d’Aosta e Friuli Venezia-Giulia, anche noi, Trentino – Alto Adige, siamo parte di questo gruppo “speciale”.

L’articolo 116 della Costituzione – per inciso – dice anche che “ulteriori forme di autonomia” possono essere concesse alle Regioni a statuto ordinario “sulla base di intese” tra Regione interessata e Governo. E’ qui che va inserito il dibattito sull’autonomia differenziata, e cioè su un piano diverso e inferiore rispetto a quello della nostra Autonomia speciale, che non può permettersi, tuttavia, di restare spettatore passivo di questi avvenimenti.

            Dunque, per il Trentino – Alto Adige, ciò che conta veramente è il suo Statuto d’Autonomia: è la nostra piccola costituzione e come tale va conosciuto, applicato e sviluppato.

Il nostro Statuto attuale è stato ufficializzato con il Decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972 e anch’esso ha subito negli anni varie modifiche. È bene chiarire fin d’ora che, in generale, modificare il nostro Statuto è come modificare la Costituzione; serve come minimo un doppio voto del Parlamento nazionale a maggioranza dei componenti con almeno sei mesi di distanza tra le due votazioni: non una passeggiata. Inoltre, quando diciamo “nostro Statuto”, è bene avere chiaro che esso è unico per la Regione Trentino – Alto Adige. È vero che nessuno formalmente vieta di inserire in Statuto particolari clausole per una Provincia Autonoma o per l’altra, ma giova ricordare a tutti che alla base della nostra Autonomia c’è la nostra Regione, cioè Trentino + Alto Adige ed eventualmente + Tirolo austriaco: non Trentino + Veneto + Lombardia o altri raggruppamenti che, si è appena detto, risultano incompatibili con lo Statuto e quindi con la nostra stessa Autonomia.

Sappiamo ora che il nostro Statuto è quel documento che contiene, tra l’altro, anche le materie su cui la Regione può fare le leggi, con i relativi limiti. Al suo articolo 4 si legge che, in armonia con la Costituzione, con i principi della Repubblica, con gli obblighi internazionali e con gli interessi nazionali, la Regione Trentino – Alto Adige può fare leggi, ad esempio, sull’organizzazione dei suoi uffici, sull’ordinamento degli enti locali (organizzazione e funzionamento dei Comuni) e sullo sviluppo della cooperazione. All’articolo 5, con l’ulteriore vincolo di rispettare i principi stabiliti dalle leggi dello Stato, il nostro Statuto afferma che è compito della Regione fare leggi sull’ordinamento delle Casse di Risparmio e Rurali e sugli enti di credito agrario. Tutta qui questa Autonomia? Assolutamente no. La genialità della nostra Autonomia è quella di concepire le Province Autonome, che possono fare leggi su una grandissima varietà di materie. Sempre nei limiti del citato articolo 4, secondo l’articolo 8 ogni Provincia può emanare leggi provinciali ad esempio sulla sua organizzazione, su urbanistica e piani regolatori, artigianato, case popolari, fiere e mercati, cave, caccia e pesca, assunzione diretta di servizi pubblici (energia), turismo e industria alberghiera, agricoltura e Corpo forestale, scuola materna, edilizia scolastica, addestramento e formazione professionale. E non è finita, perché con l’ulteriore limite di rispettare i principi stabiliti con leggi statali, Trento e Bolzano possono in autonomia (dallo Stato, e tra loro) legiferare ad esempio su polizia locale urbana e rurale, istruzione, commercio, esercizi pubblici, utilizzazione delle acque pubbliche, sanità.

Sì, è così: praticamente, possiamo fare leggi su tutto, senza bisogno di aspettare indicazioni da Roma. Purtroppo, la tragica esperienza della pandemia e la ricerca di deresponsabilizzazione che accompagna talvolta la nostra classe politica, ha ridato vigore all’influenza dello Stato anche in Trentino. Tuttavia, va ripetuto che la nostra Autonomia ha poteri enormi che aspettano solo di essere usati al meglio.

            Chi capisce questo, capisce la centralità della fiscalità per il Trentino. Perché per fare leggi su un’infinità di materie, e per gestire i servizi ad esse collegate, devo prima capire su quanti soldi posso contare.

Dall’ultimo bilancio di previsione della Provincia emerge che essa nel 2023 spenderà più di 6,5 miliardi di euro, a cui dovranno corrispondere 6,5 miliardi di entrate perché per la PAT vale il principio secondo cui per ogni euro in uscita ci deve essere un euro in entrata. Di questi, ben 4,2 miliardi derivano dalla fiscalità, cioè sono nostri: sono le nostre tasse.

Grazie alle trattative che le giunte Rossi – Kompatscher, Dellai – Durnwalder e quelle ancora precedenti hanno portato avanti con Roma, il Trentino (e l’Alto Adige) oggi riceve sostanzialmente i nove decimi del valore dei tributi che vengono pagati sul territorio. Dico “riceve” perché è proprio così: i denari vanno a Roma e poi Roma ce li restituisce, e questo è il primo dei due problemi su cui una buona politica trentina dovrebbe ragionare.

Infatti, se Roma prima riceve e poi restituisce, è facile che, vuoi per “la difficile situazione economica”, vuoi per “la salvaguardia delle casse pubbliche”, essa ritardi nella restituzione di quanto ci spetta o, come è già successo, Roma si tenga più del dovuto. Un simile quadro danneggia non solo la capacità della PAT di programmare la sua attività, perché non sa la cifra che avrà a disposizione, ma anche la sua capacità di erogare servizi di eccellenza in quanto essa si trova senza le risorse che le spettano e che sono necessarie. Perciò, in ultima analisi, questo danneggia tutti noi, che paghiamo le tasse aspettandoci che la Provincia ci dia certi servizi che talvolta nel passato non ci ha potuto dare perché i soldi erano fermi a Roma.

Il secondo punto debole risiede nella natura delle imposte che riceviamo. È un po’ tecnico questo punto, e anche quello precedente, ma è nei dettagli che si nascondono problemi e opportunità. I trentini pagano tre tipi di tributi: (1) quelli decisi dalla PAT (come il bollo auto), (2)quelli decisi dallo Stato su cui la PAT ha qualche potere (come l’IRAP, ben nota ai nostri imprenditori) e (3) quelli decisi dallo Stato su cui la PAT pare non abbia poteri (come l’IRPEF). I più onerosi per i portafogli dei cittadini sono da inserire in questa ultima categoria, che è quindi la più impattante sul bilancio provinciale: l’IVA e le imposte sul reddito pagate dai trentini ammontano a quasi tre miliardi di euro l’anno. Ricordando che le entrate fiscali annuali sono in Trentino pari a 4,2 miliardi, sapere che il 70% di esse dipende esclusivamente da Roma deve mettere ogni cittadino trentino in allerta. Quando si parla di flat-tax o di revisione dell’IRPEF e qui non si discute di come il Trentino intenderà reagire a tali scelte romane, significa che si sta accettando il rischio di perdere anche centinaia di milioni di euro di risorse e, quindi, che si sta accettando di perdere Autonomia. Ben inteso: in questo passaggio non si vuole difendere una eccessiva tassazione, ma si vuole solo far capire che per il Trentino il focus deve essere su una tassazione più equa, più giusta, che sappia essere volano dell’economia. Dire “giù le tasse” senza visione di non basta se si vogliono sette ospedali e scuole in ogni paese.

            Dunque, noi abbiamo la possibilità di scegliere in autonomia come spendere, ma non possiamo ancora scegliere con altrettanta autonomia le nostre entrate. Ecco perché l’obiettivo di chi ha a cuore l’interesse del Trentino, e di chi domani si troverà a governarlo, dovrebbe essere quello di renderci il più possibile autonomi anche dal punto di vista delle imposte. Se possiamo scegliere come gestire le nostre scuole o la nostra agricoltura, perché non dovremmo poter pensare ad una tassazione su misura per i cittadini e le imprese trentine? Come accennato poco fa, pensiamo a come potrebbe crescere il benessere e l’equità della nostra comunità se ci svincolassimo di più dal fisco nazionale e ce ne facessimo uno più nostro.

I tributi che paghiamo oggi in Trentino sono in larga misura pensati a Roma tenendo conto delle esigenze di tutta Italia e lì le nostre contano poco, visto che siamo grandi poco più di un quartiere di Milano. Così, il sistema fiscale italiano non può essere particolarmente favorevole verso il nostro territorio: “Voi siete ricchi e siete piccoli”, dice lo Stato, “quindi vi dovete adeguare e pagare”.

In realtà, il nostro Statuto di Autonomia, così come è oggi, già offre la possibilità di abbassare sensibilmente il peso delle tasse decise a Roma sui contribuenti trentini: pensando a delle tasse trentine che sostituiscano quelle dello Stato e che forniscano al Trentino le risorse necessarie per erogare i servizi, la nostra Provincia raggiungerebbe l’Autonomia integrale. Il problema di dover prima dare allo Stato e solo dopo ricevere sarebbe risolto, visto che le imposte pensate qui (e quindi approvate con legge provinciale) tratterrebbero qui la maggior parte dei soldi che ne deriverebbero.  Ma sarebbe così anche risolto il problema della dipendenza dalle politiche fiscali romane: la facciano, la flat-tax, anche fino a un milione di euro, tanto qui c’è la “PAT-tax” che è calibrata sulla famiglia e che redistribuisce la ricchezza dando un futuro prosperoso ai nostri giovani, che sono poi figli e nipoti.

Oggi ovviamente non è così, ma un giorno questo succederà: si dovrà lasciare che una nuova classe dirigente prenda le redini del nostro territorio e lo riporti lì dove si merita, sulle vette dell’eccellenza.

Per inciso, Autonomia integrale significherebbe probabilmente anche avere più risorse da devolvere alla solidarietà nazionale: siamo tutti in Italia e ci si deve aiutare, senza discussioni.

            Dobbiamo però tornare all’oggi, e quindi dobbiamo capire come i nostri soldi vengono spesi perché, al netto dei proclami, questo non ci viene detto troppo bene.

In totale, sempre secondo l’ultimo bilancio provinciale disponibile, quattro miliardi di euro verranno spesi nel 2023 per la gestione corrente e cioè per mantenere le cose esattamente come sono ora. Due miliardi, invece, saranno dedicati agli investimenti, cioè al miglioramento dei servizi a carico della PAT. È un po’ come se a voi sul conto corrente in un anno entrassero 10.000 euro e decideste di spenderne 6.500 per, cibo, vestiti e altre cose che nascono e finiscono in quell’anno, lasciandone 3.500 per cambiare la macchina, ristrutturare casa o pagarvi l’università, cioè per fare cose che vi portano benefici per più anni.

Tornando alla Provincia, di questi sei miliardi totali, 990 milioni saranno spesi per l’istruzione, 84 milioni per il turismo, 455 milioni per i trasporti e le infrastrutture, 1,35 miliardi per la sanità e solo 65 milioni per la nostra eccellente agricoltura. Inoltre, 1,27 miliardi verranno destinati alle autonomie locali, e quindi, visto l’indebolimento delle Comunità di Valle, quasi tutti andranno ai Comuni.

È vero, come ci dicono i nostri amici di altre regioni, che sono tanti soldi. Considerando ad esempio la sanità, emerge che spendiamo circa 2500 euro l’anno per abitante, che è quasi un quinto in più di Lombardia e Veneto, ferme a 2100 euro per abitante, e ancora il nostro sistema sanitario può migliorare. Immaginiamo allora che cosa accadrebbe se anche a noi fosse chiesto di rispettare uno standard, ad esempio, proprio di 2100 euro a persona sulla sanità: non più addio punti nascita, ma è addio ospedali. Questo non è uno spauracchio: se si vuole evitare che ciò diventi realtà, bisogna che il Trentino vigili sul processo di attuazione dell’autonomia differenziata. Rifugiarsi dietro un “non ci riguarda” significa subire il cambiamento delle cose, accettando il rischio di venirne travolti. Pensiamo alle aziende che hanno detto “non ci riguarda” alla rivoluzione digitale: esistono ancora oggi?

È importante fare esempi concreti, perché l’Autonomia è complessa e pare lontana, invece è accanto a noi.

            Insomma, questo è il risultato della mia tesi, qui sintetizzata. Il Trentino potrebbe autonomizzarsi anche dal punto di vista fiscale, rendendoci così banco di prova per sperimentare nuovi modelli di sviluppo sostenibili ed equi. Per farlo, serve prima di tutto una Visione. Il Futuro si costruisce oggi, con comportamenti e atteggiamenti che superino la ricerca momentanea di consenso, ma che siano pietra angolare per la scalinata del progresso della Comunità e di ogni sua singola individualità. Il Trentino può e deve essere la locomotiva d’Italia e d’Europa verso il Futuro.

Io sono Alessio Anselmo, sono nato il 20 gennaio 2000 a Trento e vivo a Calavino dal 2003, quando i miei genitori sono riusciti a comprare una bella casa in questo posto ancora più bello, paese d’origine di mia mamma.

Dopo il diploma al Liceo Scientifico Galilei di Trento nel 2019, mi sono iscritto all’Università di Trento – altra eccellenza dell’autonomia – dove mi sono laureato in Amministrazione Aziendale e Diritto il 19 luglio 2022 con la tesi qui illustrata. Attualmente sto frequentando, sempre a Trento, il corso di laurea magistrale in Economia e Legislazione di Impresa.

Concludo con un pensiero personale: è importante che noi ragazzi, che siamo pieni di talenti, troviamo il coraggio di credere in noi stessi e nelle nostre capacità, cercando di convincere chi è un po’ più grande che noi siamo il più bell’esempio di Futuro possibile.

Qui sotto è disponibile la versione completa della tesi: