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La sanità mentale sta finendo nelle braccia della sanità privata

Il 7 febbraio 2023 la provincia di Trento e l’APSS hanno presentato il nuovo assetto della psichiatria trentina. Tra le novità vi è la nascita di due strutture dedicate ai pazienti acuti (una per un’utenza dai 14 ai 24 anni e un’altra per adulti per complessivi 16 posti in alternativa allo storico Servizio psichiatrico di diagnosi e cura (SPDC) di Arco.

Considerando l’area adulti, questo assetto accoglierebbe nella nostra provincia quanto previsto dalla Conferenza Stato-Regioni del 21 dicembre 2022, ove si indica la presenza di almeno un SPDC ogni 300.000 abitanti. Ciò permetterebbe quindi la chiusura di un SPDC nella nostra Provincia che da tre si ridurrebbero a due. Attualmente in trentino operano tre SPDC in grado di coprire il fabbisogno di posti letto per acuti stabilito dal Progetto Obiettivo “Tutela della salute mentale 1998-2000” (DPR 1.11.99) che individua in un posto letto per 10.000 abitanti il fabbisogno tendenziale di assistenza ospedaliera.

Considerando che un SPDC non può superare di norma i 16 posti letto è evidente una significativa riduzione di posti letto, che si verificherà in attuazione di quanto previsto dalla conferenza Stato-Regioni 21 dicembre 2022 e ribadito dalla PAT e Apss nella Comunicazione del 7 febbraio 2023. Teniamo conto che attualmente non solo la nostra provincia ma l’Italia intera già si attestano sui valori minimi di posti letto nel confronto internazionale, come documentato dall’OECP (Organisation for Economic Co-operation and Development).

A tale riduzione dei posti letto la PAT e l’APSS osterebbero con l’apertura di un Centro di Salute Mentale aperto sulle 24 ore ad Arco di 8 posti letto che si aggiungerebbero ai 4 posti letto già presenti presso il Centro di Salute Mentale di Cles. Tuttavia tali ultime esperienze appaiono ancora come attività di nicchia e non è detto che possano essere adatte per una utenza che necessita di cure intensive ma anche di strumenti diagnostici accurati come solo in ambito di protezione ospedaliera si possono determinare.

Non a caso il Presidente Regionale della Società Italiana di psichiatria, il dott. Giancarlo Giupponi, di Trento, afferma che “tenere i pazienti fuori dagli ospedali è un approccio da anni settanta, quasi che chiudere i reparti rappresenti la magica soluzione per cancellare la malattia”. In realtà l’opzione di ridurre gli spazi ospedalieri di Diagnosi e Cura può diventare una scelta che si ritorce contro creando rischi effettivi per gli acuti e un aumento della cronicizzazione per persone che non sono state opportunamente diagnosticate e indirizzate a cure efficaci. Il rischio politico maggiore che si può verificare seguendo la logica con cui si susseguono gli avvenimenti appare essere la progressiva privatizzazione dell’organizzazione della salute mentale.

Già allo stato attuale un discreto numero di pazienti si rivolge alle cliniche private del vicino Veneto o di altre regioni per ottenere le cure necessarie. Se venisse rispettata l’indicazione di un SPDC ogni 300.000 abitanti ma con un limite per struttura di 16 posti letto come previsto dalle norme, per coprire il fabbisogno sancito dal progetto obiettivo 1998-2000 di un posto ogni 10.000 ab la Provincia dovrà gioco forza rivolgersi ai privati attingendo all’offerta accreditata/convenzionata con ridimensionamento dell’offerta pubblica rispetto a quella privata. Questa eventualità appare la più probabile anche perché gli esempi in altre Regioni in cui viene attuata ormai si sprecano.

Pensiamo che il Veneto, Regione a noi limitrofa, ha convenzionato a questo scopo 372 posti letto ai privati. Inutile dire che il privato, puntando al profitto, oltre a non poter affrontare situazioni di elevata criticità non ha neppure i vincoli del pubblico di rispetto degli standard di personale. Ciò può facilmente tradursi in rischi maggiori nelle condizioni critiche e svantaggi diagnostici e terapeutici. Ed è comunque prevedibile un aumento del “turismo sanitario” di persone con disagio mentale fuori dalla nostra provincia autonoma. 

Si oppongono alla chiusura del reparto di Arco l’Associazione Riabilitazione Inserimento Sociale (ARIS) e Cittadinanzaattiva A.P.S.- Tribunale per i diritti del Malato, che ritengono essenziale una struttura di ricovero per pazienti acuti che necessitano di una attenta valutazione psichiatrica ma per degenze che sono di solito brevi, di due tre settimane, e definiscono addirittura irresponsabile la scelta della Provincia.

Cominciano a muoversi criticamente anche alcuni Amministratori locali che conoscono bene la realtà socio-sanitaria loro attigua e interpretano i bisogni dei loro concittadini meglio delle visioni centraliste dei governanti provinciali. Crediamo che stare con le persone che hanno bisogno significhi anche questo, stare anche con le persone che spesso sono stigmatizzate e non hanno voce e lasciano spazio al vociare incomposto di cosiddetti esperti e di politici opportunisti che forse hanno più a cuore loro interessi privati che non quelli della collettività.

Roberto Pregher
Paola Demagri